CAMOSCI: un giro di walzer e uno di… giostra!

di Saimon Ferfolja

L’autunno inoltrato rappresenta il culmine di un lento periodo di transizione, quando la natura imbastisce gli ultimi preparativi prima del lungo sonno invernale. L’aria si fa più fredda e i colori più sgargianti si sbiadiscono per lasciare spazio alle chiare tinte pastello che dominano l’inverno, anticipo dell’ovattato biancore delle prime nevi.

Camosci delle Alpi (foto: Philippe Bout)

QUALCUNO VA CONTROMANO
Ma anche stavolta, “qualcuno” va in controtendenza (avete letto La magica stagione del bramito“?), e anzi si prepara a vivere il periodo più… frenetico dell’anno.
Stiamo parlando del camoscio (Rupicapra rupicapra), ungulato simbolo dell’ambiente alpino e prealpino, che a partire dalla fine di novembre entra nel pieno della stagione degli amori o “brunft”: poche intense settimane durante le quali i maschi maturi abbandonano la loro indole solitaria per marcare e difendere attivamente un territorio e trattenervi le femmine mature.

CORTEGGIAMENTO, UN AFFARE ASSAI SERIO
Il corteggiamento dei camosci è un affare poco romantico e perfettamente rritualizzato, che inizia con lo stabilire i ruoli gerarchici tra i maschi.
Collo e capo eretti a mettere in risalto le corna, la criniera -detta bart– ritta sulla schiena, movimenti solenni e scrollature della possente muscolatura: questo atteggiamento prende il nome di imposizione e serve a intimorire gli avversari e a far sottomettere i maschi di rango inferiore… senza colpo ferire!

Ma questa è solo la premessa: arriva il momento in cui si aprono le vere e proprie giostre amorose finalizzate ad allontanare gli altri maschi, dal proprio harem di femmine, mediante sfrenate rincorse e inseguimenti tra rupi e dirupi.
Durante queste corse senza freni tra cenge, ghiaioni, pietraie e praterie può accadere (se i due rivali sono di pari valore), che i ruoli si invertano e che l’inseguitore diventi l’inseguito.
A volte accade perfino che i due contendenti si affrontino in un vero “corpo a corpo”, anzi “capo a capo”, vibrandosi poderose cornate alla testa e al collo. Ma questa è davvero l‘ultima e più rischiosa spiaggia, che viene istintivamente evitata per scongiurare la possibilità di subire profonde lacerazioni alla pelle e ai muscoli, o nel peggiore dei casi, ferite mortali.

Infatti, se da un lato l’istinto animale porta naturalmente al confronto per stabilire la predominanza e avere la possibilità di riprodursi, dall’altro tende ad evitare scontri potenzialmente sanguinosi: la stagione degli accoppiamenti è una fase cruciale nella vita dei camosci, ma si svolge anche alle porte dell’inverno, per superare il quale è fondamentale conservare buone energie. 

Dicevamo che i corteggiamenti – pur se arditi e spettacolari – non brillano per romanticismo: l’unica preoccupazione del maschio è quella di tenere lontani i rivali e individuare il periodo di estro delle femmine.
Per farlo annusano l’aria con il labbro superiore sollevato, la bocca semiaperta e la lingua allungata e in movimento (flehmen), cercando così di fiutare i feromoni prodotti dalle femmine pronte all’accoppiamento.

FOTO: Saimon Ferfolja – diritti riservati

FAUNA ALPINA E… CARSICA e NUOTATRICE
Ma dove dobbiamo andare per poter osservare questo combattivo ungulato? Se mughete, ghiaioni e praterie alpine sono il suo habitat più noto, forse non tutti sanno che il camoscio (o meglio una sua specifica popolazione) risisede anche sulle più estreme pendici dell’altipiano carsico, a due passi dal mare Adriatico.
La storia di questo nucleo è piuttosto recente e in parte avvolta nel mistero. E’ infatti della fine degli anni 80 del Novecento, una bizzarra segnalazione che ha suscitato ilarità e poi stupore: un camoscio stava nuotando verso il largo nel mare antistante i Filtri di Aurisina, al suo recupero è emerso che era una giovane femmina, successivamente rilasciata nel Tarvisiano.
Da dove proveniva?: dal monte Triglav? dalle Valli del Natisone, magari sulle orme di quella che fu la rotta di Caporetto? oppure fu introdotto dall’uomo?
Quale sia la verità nessuno lo sa, anche se già negli anni Trenta i vecchi di Brestovizza già parlavano di un camoscio solitario, avvistato sulle pendici dell’Hermada ancora sconvolte dalla Grande Guerra.

I camosci del Carso sono ormai una realtà consolidata. Dopo questo primo “ripescaggio” si sono susseguite altre segnalazioni nei primi anni 90 quando un gruppo di camosci si è insediato stabilmente sui rilievi del Carso a poco più di 100 m s.l.m.
Il gruppo è cresciuto numericamente espandendosi dall’originario nucleo del Monte Hermada, verso le aree circostanti, prima sul Monte Flondar sopra Iamiano/Jamlje, poi sul Castelazzo sopra il lago di Doberdò, ma anche vicino il sacrario di Redipuglia e sulle pareti che sovrastano l’autostrada a Ronchi dei Legionari.
Una costante ascesa che permette ora di contare oltre 150 individui

A causa delle limitazioni alla circolazione sul territorio regionale, quest’anno non potremo accompagnarvi a osservare le ormai prossime giostre d’amore, tuttavia vi diamo appuntamento alle nostre estplorazioni estive, sia in montagna che in Carso, per ammirare – in assoluto rispetto della vita di questi ungulati – la nuova generazione di camosci che muoverà i primi passi tra le rocce, in perfetta simbiosi con l’ambiente roccioso in cui vivono.