Not a single story

Ovvero di esuli, di stereotipi e di social.

Magazzino18: neon tremolanti, polvere che vortica nell’aria fredda, odore di muffa. Nastri rossi e bianchi da cantiere avvertono di un potenziale pericolo, di una potenziale instabilità. Ancora dopo 70 anni, le masserizie degli esuli istriani accatastate nel Porto Vecchio di Trieste, ancora sono precarie: per sede, per allestimento, per futuro. Sembrano rassegnate e a disagio, come la storia che raccontano dopo decenni di solitudine tra i vecchi muri dei magazzini portuali. Parlano loro a chi le visita, in vece dei loro proprietari, troppo spesso muti e vergognosi per colpe mai commesse, incupiti da malanimi vissuti e da sofferenze mai condivise.

Se si interrompe il filo della narrazione tra generazioni, alcuni capitoli della Storia rimangono come non scritti.
Se viene dato spazio e credito ad una voce sola, il pericolo è ancora maggiore.

E’ il pericolo che la scrittrice nigeriana Chimamanda Adichie chiama “the danger of the single story”, intendendo che quando circola una singola storia su un argomento, questa rischia di diventare la sola storia possibile, l’unica narrata, l’unica rappresentazione mentale che avremo di quell’argomento, complice anche la nostra impressionabilità di ascoltatori o lettori di storie, la nostra fragilità emotiva davanti alla narrazione.

Raccontare un’unica storia crea stereotipi. E il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia in un’unica storia”, nelle sue parole.

E’ questo il pericolo a cui siamo esposti in nome della velocità: migliaia di “single stories” vengono fatte circolare, meglio se monocromatiche e assertive, e diventano il più delle volte, le sole storie che noi conosciamo.

Allora ho provato a contare le “storie” che conosco attorno ai temi di attualità più quotati dai notiziari e dal web, e mi sono trovata – con sorpresa – a condividere una riflessione dei Topipittori, una meravigliosa casa editrice di libri illustrati che mi ha dato lo spunto per questi esuli pensieri:

“E sempre siano benedetti i social. Perché non sempre si riesce a stare al passo con le cose migliori che escono, con il pensiero più interessante che produce il nostro tempo. Per fortuna esiste la rete, e la cui funzione più autentica è informarci quotidianamente. E darci modo di capire che ci sono esperienze e teste che forse ci salveranno”